mercoledì 27 marzo 2013
La Cina sceglie Ubuntu Linux per spingere innovazione e sviluppo
LA CINA è pronta a finanziare un suo sistema operativo "di Stato" che sarà basato su Linux Ubuntu. È un ultimo tassello alla sua autarchia informatica, in una nazione in cui i principali siti Web non si chiamano Google o Facebook, ma Baidu e Weibo, e che però continua per il 90 per cento a funzionare grazie a Microsoft Windows. Canonical, il principale sponsor e finanziatore del progetto Ubuntu, ha annunciato nei giorni scorsi di aver raggiunto un accordo con il Ministero cinese per l'industria e la tecnologia dell'informazione (MIIT). In base a questo accordo, Ubuntu diventerà il software di riferimento per i "sistemi operativi cinesi", di cui una prima versione stabile si vedrà in aprile. Kylin, questo il nome del sistema, aspira ad essere non una semplice localizzazione di meteo, mappe, calendari, ma un vero e proprio ecosistema informatico per il pubblico della grande potenza asiatica. In futuro si prevede che i servizi per scaricare musica, i software, le applicazioni per lo shopping online saranno anch'essi cinesi.
La decisione non giunge di sorpresa. La Cina è da sempre un terreno fertile per le tecnologie rilasciate con licenza open source, di cui Linux è l'esempio più noto e diffuso. Questo tipo di licenza permette di controllare il linguaggio di programmazione con cui è costruito il software, modificarlo, riadattarlo e, soprattutto, analizzarne l'esatto
funzionamento, valutandone affidabilità e sicurezza. Ma la sicurezza di avere un sistema trasparente non è il motivo principale che spinge il governo cinese ad affidarsi a tecnologie a codice libero. Non lo è certamente la possibilità che un sistema creato direttamente dal governo possa rappresentare solo un modo per rendere ancor più stringente il controllo sulle operazioni informatiche dei propri cittadini, replicando in scala maggiore ciò che accade con Skype. Anche perché la stessa natura aperta del software è il principale limite a questa possibilità: le modifiche sarebbero facilmente rintracciabili.
Altrettanto fuorvianti sono le motivazioni ideologiche, anche perché già sperimentate in passato. A partire dal 2007 il governo cinese ha sponsorizzato lo sviluppo di Red Flag Linux, un Linux che avrebbe dovuto rappresentare il simbolo dell'indipendenza tecnologica da Microsoft Windows. Ma è un'iniziativa che, a parte un'imitazione da parte della Corea del Nord (che sviluppò un equivalente "Red Star OS"), ha avuto scarsissima fortuna.
Alla base di questa scelta in realtà ci sono strategie di innovazione e sviluppo, di cui il software open source rappresenta il motore principale. Nel piano quinquennale inaugurato nel 2011 è ben chiaro che la Cina non ci sta ad essere vista solo come la forza lavoro che stringe le viti degli smartphone che vengono progettati in California e venduti in Europa. Dal punto di vista dell'hardware, la Cina ha saputo affiancare ad un'industria basata principalmente sulla manifattura e l'assemblaggio anche aziende leader di settore: Lenovo è il produttore di PC a maggior crescita di mercato dell'ultimo anno e Huawei comincia a far capolino nelle tabelle degli analisi accanto ad Apple, Samsung e Nokia.
Ciò che manca sono invece delle solide fondamenta per lo sviluppo di servizi software, e non stiamo parlando solo di software per Pc. Ubuntu, con il mercato dei desktop in sofferenza, sta piano piano ampliando il proprio ecosistema verso i servizi mobile e di cloud computing, servizi su cui si concentrano le maggiori innovazioni e le maggiori aspettative del panorama software moderno. Ubuntu ha sia in sviluppo versioni per Tablet e Smartphone del proprio sistema, sia una completa offerta di servizi cloud. Tutto basato su codice aperto, tutto disponibile per essere usato come leva per creare nuovi servizi e fare innovazione. E la Cina, il primo mercato mobile del mondo e il più attento al cloud, è sicuramente il luogo più adatto per farlo.
FRANCESCO CACCAVELLA
la rerpubblica
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento